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Giulia Pianelli e la Nuova Zelanda: “Ecco la mia vita dall’altro capo del mondo”

La cultura Maori, le valli alpine, i fiumi e la giungla. E poi ancora gli All Blacks con la loro mitica “Haka”, gli Hobbit e l’economia virtuosa. Natura, sport, tradizione. Fin qui si snoda garrulo il rosario degli stereotipi, iconizzati per includerli tutti nelle cartoline di una volta. Poi c’è la vita in Nuova Zelanda, quella reale di chi risiede, lavora e produce. Cercano infermieri, ma non sono gli unici. Hanno il Mar di Tasman. E in questo, l’unicità è inconfutabile. Vivere qui significa accettare le insidie della logistica, distanze proibitive e impervi spostamenti. Ce n’è abbastanza, insomma, per soffrire di sindrome da isolamento, con la città più vicina dell’Australia (Melbourne) collegata in quattro ore, per tacere delle dieci di differenza con l’Italia (ma si arriva anche a dodici con l’ora solare) e del fattore tempo, perché spesso non è sufficiente un giorno effettivo di viaggio per raggiungere questi cinque milioni di abitanti dislocati ai confini dell’atlante geografico. E’ entusiasta di averlo fatto Giulia Pianelli, la ragazza veneziana cui affidiamo il compito di spalancarci la sua finestra con vista a sud-ovest del Pacifico. 

Posto più lontano per far perdere le proprie tracce non esiste…

<<Avevo imparato a conoscere questo Paese per esserci stata nel semestre precedente. Ad Auckland sono arrivata un paio di mesi fa e mi sono innamorata subito di questa che può definirsi l’unica autentica città neozelandese, dove si vive benissimo e la gente è meravigliosa. In questo periodo mi è capitato di entrare in contatto con persone di ogni età e ceto sociale e ogni volta ne ho ricavato la stessa, splendida impressione. Quando mi incontrano e dico loro di essere italiana si stupiscono di trovarmi qui, quasi non si capacitano. Tanti, tra di loro, adorano l’Italia pur non avendo mai avuto modo di visitarla. Ho letto in giro di qualche italiano che si lamentava di una certa freddezza ricevuta nell’accoglienza e sono rimasta letteralmente sbalordita. Magari sono stata fortunata io, ma non credo>>. 

Come e perché è maturata la decisione di trasferirsi dall’altro capo del mondo?

<<Ho semplicemente seguito il mio fidanzato australiano: ci siamo conosciuti a Milano e lui ha accettato una proposta di impiego arrivata da qui. Per loro è quasi immediato conseguire il permesso di residenza e ho beneficiato dei rapporti tra i due Stati che agevola l’inserimento di nuovi lavoratori riuscendo a prolungare lo “Working visa” – che molto difficilmente viene concesso oltre la durata di un anno – per il mio biennio. E’ stato decisivo il suo status perché, “sponsorizzandomi”, è stato possibile regolarizzare subito la mia posizione e rendermi disponibile per svolgere attività in qualsiasi ambito>>. 

Quali sono state le difficoltà iniziali?

<<Onestamente mi sono trovata subito a mio agio, ricordo soltanto quella sorta di comprensibile  timore quando scegliemmo di compiere questo passo e le normali dinamiche che sono chiamati ad affrontare tutti gli expat. Però non mi sono persa in chiacchiere, cominciando fin da subito a darmi da fare come freelance per assecondare la vocazione che ho sempre avuto>>. 

A cosa si dedica ora?

<<Recentemente ho assunto un ruolo full-time come coordinatrice nel settore marketing e comunicazione di una realtà che si occupa di arte contemporanea e continuo ad ideare contenuti digitali>>.

In Oceania. 

<<Questo è un tasto dolente: ho lasciato l’Italia, la culla dell’arte, per venire a lavorarci qui. Io vivo da sempre di questo e l’idea di non poterlo fare a casa mia mi intristisce. Mi sento apprezzata e la verità è che anche solo pensare di riprovarci da noi sarebbe insostenibile per i motivi economici che si possono banalmente dedurre. Certe volte ci penso tra me e me, poi mi dico: <<Peccato>>. E guardo avanti>>.

Ha per caso avvistato tracce di connazionali nei paraggi?

<<Siamo davvero pochi: gli ultimi dati aggiornati parlavano di circa 5.000 anime in tutta la Nuova Zelanda, la maggior parte delle quali vive tra Auckland e la capitale Wellington. Ho da poco preso contatti con una ragazza italiana molto attiva sui social network che si chiama Giulia come me, abita in centro non lontano da casa nostra: troppe coincidenze per non promettere di incontrarci e condividere i nostri stati d’animo. D’altronde, qui è rarissimo sentir parlare italiano ed è quello che forse mi manca di più in assoluto>>.

Perchè?

<<Il lavoro che faccio mi impone di sostenere quotidianamente conversazioni in un inglese di livello avanzato e, dopo un po’, sento l’esigenza quasi fisica di modulare la concentrazione e ritrovare la familiarità quasi spensierata nella mia lingua madre. E’ una dinamica umana, tutta mentale, frequente da riscontrare in chi vive stabilmente all’estero>>. 

Almeno in questo affiora un po’ di nostalgia…

<<Non proprio. E’ un miracolo se riesco a tornare una volta l’anno ma – non facendo parte della schiera degli italiani molto legata al proprio nucleo familiare – riesco a farne a meno senza troppi problemi. L’ultima volta è capitato tre mesi fa: il costo dei biglietti aerei non è mai inferiore ai 2.000 euro, servono almeno due settimane di ferie e tutto questo, naturalmente, ha il suo peso nell’organizzazione. E poi sarebbe inimmaginabile per me tornare a fare i conti con una sanità pubblica solo in apparenza come la nostra, qui gli esami clinici e i medicinali sono gratuiti e posso usufruire di una tassazione dimezzata rispetto alla nostra. La mancanza degli affetti e degli amici la avverto, non potrebbe essere altrimenti, ma ho intrapreso la mia strada andando via di casa otto anni fa e ora mi sento felice>>.

Felice e realizzata a tal punto da ipotizzare un futuro ad oltranza in questa realtà?

<<Se chiudiamo gli occhi ci immaginiamo esattamente qui, a godere delle nostre pensioni in questo Paese speciale. Consiglierei a tutti di vivere un’esperienza unica a queste latitudini, anche se è davvero lontanissimo e l’iter burocratico da seguire, quando si smette di essere turisti, è vincolante. Esistono, tuttavia, i miei obiettivi di carriera e sono certa che saranno proprio questi a riportarmi in Europa prima o poi. Penso all’Olanda, oppure a nazioni tipo Germania e Danimarca, che offrono possibilità importanti per continuare ad arricchire il mio percorso professionale>>.

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