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Cosa può cambiare per l’Europa con l’elezione di Trump

Il ritorno di Trump alla Casa Bianca non è ancora una certezza, ma la concreta possibilità sta costringendo i leader europei a riflettere su scenari quali la paventata uscita degli USA dalla NATO e ad affrontare le conseguenze che essi comporterebbero. Mentre l’imminente tornata elettorale statunitense entra nella sua fase finale, che culminerà a novembre 2024, i funzionari di tutto il vecchio continente stanno diventando sempre più realisti in merito alle implicazioni di una seconda elezione di Trump.

Il desiderio di Trump di ritirare il sostegno americano all’Ucraina va oltre la sua avversione per i conflitti militari estesi. Trump ritiene il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj addirittura personalmente responsabile del suo primo impeachment e vede molti dei massimi esperti di Russia, anche quelli che hanno lavorato per lui, come complici di questa debacle. La posizione di Trump sulla NATO è altrettanto personale, come dimostra la sua recente minaccia di consentire alla Russia di “fare quello che diavolo vuole” ai paesi membri definiti addirittura “delinquenti”. Negli ultimi tre anni, in preparazione per una seconda presidenza Trump, un sofisticato ecosistema ideologico repubblicano si è concentrato sulla trasformazione delle sue rimostranze personali in politiche attuabili.

L’elezione di Trump per il commercio europeo

Trump è stato piuttosto coerente nella sua incessante critica al libero scambio, che accusa di aver danneggiato i lavoratori americani. Durante la campagna elettorale ha insistito sul fatto che il suo obiettivo di mettere “l’America al primo posto” comporterebbe la rinegoziazione degli accordi commerciali esistenti con i partner americani al fine di ottenere condizioni migliori che pongano gli interessi economici degli Stati Uniti al di sopra degli interessi stranieri, compresi quelli europei. Trump ha sottolineato con veemenza che “l’americanismo, e non il globalismo, sarà il nostro credo“, indicando il sostegno ad una rinnovata forma di protezionismo.

Trump si è impegnato durante il suo ultimo mandato per rovesciare le basi stesse della politica commerciale statunitense rinegoziando o, se necessario, ritirandosi da un’ampia gamma di accordi, come l’Accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA), il Partenariato transpacifico (TPP) e persino l’Accordo sul commercio mondiale. Di conseguenza, l’elezione di Donald Trump probabilmente congelerà i negoziati in corso tra l’UE e gli Stati Uniti sul Partenariato Transatlantico su Commercio e Investimenti (TTIP), il cui obiettivo era quello di creare un’Area Transatlantica di Libero Scambio.

Possibili politiche trumpiane

Sebbene l’interruzione dei negoziati sul TTIP sarà una probabile conseguenza della presidenza Trump, esiste un altro scenario meno plausibile, ma con rischi molto maggiori per l’Alleanza Atlantica. Trump potrebbe decidere di perseguire una forma più radicale di protezionismo, forse addirittura intraprendendo una “guerra commerciale” con i principali partner commerciali dell’America, compresa l’UE. Le preoccupazioni di Trump sono legate al fatto che gli Stati Uniti hanno un significativo deficit commerciale globale che ha continuato a peggiorare negli ultimi decenni.

Una potenziale spiegazione del motivo per cui Trump ha ampiamente ignorato l’UE nel contesto commerciale è che i suoi attacchi all’Europa mirano principalmente alla riluttanza del continente a pagare per la propria difesa militare. Considerato il danno economico potenzialmente significativo che ciò causerebbe ad entrambe le parti, è altamente improbabile una vera e propria guerra commerciale tra l’UE e gli Stati Uniti. Tuttavia, non è improbabile che l’amministrazione Trump possa aumentare le tariffe su alcuni prodotti provenienti dall’Europa per correggere il lamentato deficit commerciale.

La questione NATO con l’elezione di Trump

Nel corso degli anni, una delle affermazioni più ricorrenti di Trump è stata che gli Stati Uniti stanno subendo un “pessimo accordo” con i loro alleati militari, in particolare dal Giappone e dai membri europei della NATO. La sua critica principale sarebbe quella che gli Stati Uniti siano lasciati a pagare il conto della sicurezza globale ricevendo poco in cambio. La sua posizione sulla NATO è stata inoltre galvanizzata dall’opinione pubblica statunitense e da un graduale calo del sostegno all’organizzazione atlantica, definita un’organizzazione obsoleta.

L’aspetto controverso della critica di Trump alla NATO non è che vuole che gli alleati europei paghino di più, ma piuttosto che minaccia di abbandonare completamente l’alleanza o semplicemente di non difendere gli Stati membri che non rispetteranno i loro obblighi nei confronti degli Stati Uniti. Quando gli è stato chiesto se avrebbe difeso gli Stati baltici, che sarebbero particolarmente vulnerabili ad eventuali attacchi russi, ha risposto: “Solo se adempiono ai loro obblighi nei nostri confronti, allora la risposta è sì“. L’elezione di Trump provoca onde d’urto in tutta l’Alleanza Atlantica, poiché l’impegno degli Stati Uniti nei confronti dell’Articolo 5 del Trattato è senz’altro cruciale a scoraggiare l’aggressione russa nell’Europa orientale, in particolare nei confronti dei paesi più piccoli che fanno affidamento sul fatto che gli Stati Uniti agirebbero rapidamente e con decisione in caso di crisi bellica.

Una riorganizzazione della NATO?

Il mantenimento della NATO è nell’interesse nazionale degli Stati Uniti, motivo per cui essa non è più stata sciolta alla fine della Guerra Fredda. La NATO rappresenta un meccanismo chiave attraverso il quale gli Stati Uniti possono proiettare il proprio potere all’estero e garantire la propria sicurezza consentendo all’America di mantenere una forte influenza sulla comunità atlantica e sugli affari mondiali più significativi. Mentre i precedenti presidenti degli Stati Uniti avevano chiesto agli europei di contribuire maggiormente alla spesa per la difesa, Trump senza dubbio chiederà o addirittura imporrà importanti riforme organizzative.

Ciò dovrebbe essere visto come un’opportunità per l’Europa. Se gli alleati europei aumentassero significativamente le loro spese militari, è probabile che rafforzerebbero anche la loro influenza all’interno della NATO. In effetti, i paesi europei dovrebbero insistere affinché qualsiasi aumento della spesa sia proporzionale alla maggiore influenza nei processi decisionali dell’organizzazione. Un partenariato più equo non può che apportare benefici all’evoluzione delle relazioni transatlantiche, rendendo un’alleanza più sostenibile nel lungo periodo.

Le sfide militari dell’Europa

L’Europa si trova attualmente ad affrontare una moltitudine di significative minacce alla propria sicurezza, come l’espansionismo russo nell’Europa orientale, il terrorismo, gli attacchi informatici e le guerre in Medio Oriente che hanno portato ad una crisi di rifugiati senza precedenti per il continente. Pertanto, la vittoria di Trump dovrebbe essere vista come un’opportunità per galvanizzare gli europei e spingerli ad aumentare i propri bilanci in termini di difesa. Invero, anche prima della scorsa elezione di Trump, molti paesi europei avevano già iniziato ad aumentare sostanzialmente i propri budget militari. La Francia ha costantemente aumentato le spese militari negli ultimi anni, e il ritmo ha subito una considerevole accelerazione in seguito all’ondata di terrorismo che ha colpito il paese.

Dopo il voto sulla Brexit, il Regno Unito ha rafforzato la propria presenza militare in Estonia per difendere il fronte orientale della NATO, rinnovato il programma di sottomarini nucleari e rafforzato la collaborazione con gli Stati Uniti nella lotta contro lo Stato islamico. Sembra ci sia stata una svolta anche nell’atteggiamento della Germania nei confronti delle proprie forze armate, che ha posto fine ad un tabù che risale alla Seconda Guerra Mondiale. L’ombrello di sicurezza automatico dell’America, in vigore dalla seconda guerra mondiale, non può più essere dato per scontato. Aumentando significativamente la spesa militare, l’Europa diventerà un alleato più prezioso e quindi più attraente per gli USA, diminuendo le possibilità che Trump si disimpegni con tanta facilità dalla NATO. Inoltre, ciò consentirà all’Europa di essere in grado di difendersi anche senza gli Stati Uniti nel caso in cui si materializzasse lo scenario peggiore.

Il Piano d’azione europeo per la difesa

Nel 2016 la Commissione UE ha annunciato la proposta di un “Piano d’azione europeo per la difesa”, che mira a spendere svariati miliardi di euro all’anno per sostenere gli Stati membri dell’UE nell’acquisizione di hardware, inclusi velivoli e droni oltre che nello sviluppo di tecnologia militare innovativa. Iniziative come il Piano d’azione europeo per la difesa sono lodevoli, ma rimangono insufficienti e dovranno essere rafforzate negli anni a venire. Anche se il piano venisse attuato con successo nei prossimi anni, non riuscirebbe ancora a fornire un quadro difensivo sufficiente. Non va dimenticato inoltre che il Regno Unito aveva precedentemente posto il veto a qualsiasi tipo di integrazione in materia di difesa, temendo una perdita di sovranità.

Nonostante gli accennati timori, è difficile discutere che una difesa più forte dell’UE non solo sia pienamente compatibile con l’attuale esistenza della NATO, ma che potrebbe anche contribuire a rafforzare le già formidabili capacità dell’alleanza. Date le incertezze che circondano l’elezione di Trump, lo sviluppo di una maggiore capacità di difesa europea potrebbe diventare vitale per scoraggiare il potenziale espansionismo russo.

I piani del Governo Meloni per l’eventuale elezione di Trump

Meloni ha dimostrato di poter esercitare un’influenza silenziosa ma potente sui massimi vertici politici dell’UE come la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. A giugno, gli europei voteranno per un’elezione che probabilmente porterà ad un allargamento del blocco di destra nel Parlamento europeo. Il primo ministro italiano è dunque pronto a diventare il leader spirituale di quel nuovo blocco, spingendo Bruxelles verso destra su tutti i fronti, dalla politica migratoria al Green Deal (un ambizioso pacchetto di legislazione sul clima che è diventato costante oggetto di critiche per le destre del vecchio continente).

Tuttavia, nonostante alcuni titoli ottimistici, l’economia italiana rimane purtroppo rallentata nella sua marcia verso la risalita, e ciò contribuisce a minare la credibilità di Roma sulle grandi decisioni politiche dell’UE. Inoltre, nonostante l’attuale pessimo stato delle relazioni franco-tedesche, Parigi e Berlino rimangono ancora, strutturalmente parlando, i decisori principali della politica europea, con una Polonia che sotto la guida del primo ministro Donald Tusk è emersa come attore sempre più cruciale.

Se si chiede ai vertici di Fratelli d’Italia di descrivere il risultato preferito per le elezioni presidenziali americane, sicuramente punteranno ad una vittoria del fronte conservatore e quindi ad un’elezione di Trump. Ma ovviamente Giorgia Meloni è anche la leader del governo italiano ed ha un ottimo rapporto anche con l’attuale presidente degli Stati Uniti.

Meloni e la guerra in Ucraina

Nella pratica, il fronte politico della Meloni sta cercando di avere entrambe le cose. Da un lato, sta facendo molto per garantire che le sue credenziali pro-Ucraina e pro-NATO siano tutte in ordine, compreso il viaggio a Kiev in occasione del secondo anniversario dell’invasione russa e l’ospitare uno speciale incontro incentrato sull’Ucraina dei paesi del G7. Dall’altro, sta facendo del suo meglio per corteggiare i repubblicani anti-ucraini costruendo legami con il campo di Trump grazie ai membri di Fratelli d’Italia presenti in Florida.

In quanto leader di una grande economia europea, Meloni “sarebbe il punto di riferimento per Trump in Europa“, ha sostenuto il parlamentare di Fratelli d’Italia Di Giuseppe, che nel Nord America è responsabile dei rapporti del partito con i vertici repubblicani statunitensi. L’apertura della Meloni nei confronti di Trump non fa altro che aumentare i sospetti tra i più fedeli alleati dell’Ucraina in Europa riguardo alla sua posizione a lungo termine sul sostegno alla difesa del Paese, soprattutto dopo che il primo ministro italiano è stato sorpreso lo scorso novembre a lamentarsi della “stanchezza dell’Ucrainain uno scherzo con un finto leader africano.

Considerazioni finali

In definitiva, l’elezione di Trump rappresenta potenzialmente la sfida più significativa allo status quo nelle relazioni transatlantiche dalla Seconda Guerra Mondiale. Come per tutti i cambiamenti importanti, tuttavia, ci sono sia rischi che opportunità. L’obiettivo principale nei prossimi quattro anni per l’Europa sarà riuscire a diventare un alleato indispensabile per gli Stati Uniti. Se l’UE non gestirà bene la situazione, c’è il rischio che la presidenza Trump possa dare il colpo di grazia alle relazioni transatlantiche. Tuttavia, se l’Europa riuscirà a gestire i prossimi quattro anni in modo costruttivo, la sfida di Trump allo status quo presenterà anche molte opportunità per riaccendere la fiamma dell’Alleanza Atlantica. Le relazioni transatlantiche dovrebbero cambiare, modernizzarsi e adattarsi alla nuova situazione del secolo corrente, anche se ciò comporterebbe trasformazioni significative.

Innanzitutto, l’Alleanza Atlantica deve essere riformata in modo che diventi più equilibrata tra Europa e Stati Uniti. Ciò comporta non solo la correzione dell’importante deficit commerciale che l’America ha nei confronti dell’UE, con un’Europa che aumenta significativamente la propria spesa per la difesa con una più equa condivisione degli oneri all’interno della NATO. Ed in secondo luogo, comporterebbe l’espansione della portata delle relazioni transatlantiche in modo che l’Alleanza Atlantica acquisisca un ruolo più globale. Ciò significa che l’UE dovrebbe cercare di posizionarsi come mediatore, in modo da diventare un alleato indispensabile per gli Stati Uniti sulla scena mondiale qualora si tratti di interagire con altre potenze mondiali come l’Iran o la Cina.

Le relazioni dell’UE con gli Stati Uniti sono così intrecciate che qualsiasi cambiamento importante da una parte dell’alleato Atlantico avrebbe un notevole effetto a catena. Le imprese e le organizzazioni che operano nell’UE devono iniziare sin d’ora a prepararsi per le elezioni americane: è il momento di valutare cosa potrebbe essere a rischio qualora Trump tornasse, e di avviare un piano su come mitigare le possibili conseguenze. Dalla politica digitale alla leadership in materia di clima, ambiente e sostenibilità, dal commercio e gli investimenti sull’energia, alla sicurezza e alla difesa fino alle catene di approvvigionamento globali, se ci sono interessi che necessitano di protezione o promozione, le aziende e i loro leader devono garantirli ora. Aspettare fino a novembre potrebbe rivelarsi un aspettare finché non sarà troppo tardi.

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